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Istituto Di Ricerca e Formazione – Giorgio Magnano MD – Vittorio Magnano DDS, MSc, BSc

Tag: senso occlusale positivo

Il senso occlusale positivo – un caso di coscienza (quinta parte): terapia

Giorgio Magnano e Vittorio Magnano
Giorgio Magnano e Vittorio Magnano

Dopo definizione, dinamiche neuropsichiche, sintomatologia e prevenzione, concludiamo questa breve trattazione con la terapia.

Se il paziente riferisce  precontatti o slivellamenti occlusali che il dentista non riesce a evidenziare, pur con un accurato esame occlusale,  la terapia non deve essere  una ulteriore correzione occlusale, magari seguendo indicazioni soggettive del paziente, ma la rieducazione cognitivo comportamentale, psicoterapia, farmacoterapia e terapia gnatologica reversibile tramite l’uso  di placche di svincolo (bite). Ossia, in altre parole, la condotta terapeutica si dovrà indirizzare verso quegli organi o apparati in cui si rileva una oggettività di segni sui quali ci sia spazio per un intervento correttivo. Quindi se lo stato occlusale non presenta imperfezioni oggettivabili  con i normali presidi diagnostici a disposizione del dentista, è inutile (e pertanto potenzialmente dannoso) incaponirsi con modifiche occlusali condotte più o meno alla cieca che non faranno altro che sottolineare e legittimare un atteggiamento ossessivo del paziente nei riguardi del disturbo, dell’occlusione, del contatto. Occorrerà pertanto indirizzare l’attenzione verso gli altri apparati e sistemi coinvolti nella cenestesi . Se, come si evince dalla definizione, il disturbo consiste essenzialmente in un senso, sensazione, consapevolezza o coscienza, bisognerà agire  riguardo al sistema responsabile di tali eventi, cioè sul sistema nervoso.

Tuttavia se il paziente si rivolge a noi, che siamo dentisti, è perché attribuisce ai denti il proprio disagio, e in effetti sui denti il disagio si manifesta, anche se i denti non ne hanno responsabilità diretta. Il SOP, nella sua accezione pura, ossia di “senso” avulso da momenti causali occlusali clinicamente rilevanti e rilevabili, è una forma di allucinazione e come tale va trattata, quindi, in fin dei conti, farmacologicamente. Ma siccome noi siamo dentisti ed essendo il SOP, comunque , una forma di allucinazione minore, prima di ricorrere a farmaci di cui non possediamo dimestichezza, ovvero indirizzare il paziente da uno psichiatra (decisione delicatissima da comunicare!) vale la pena di provare un intervento occlusale, ossia il bite plane, con la speranza di distrarre lo schema occlusale e la sensazione a partenza  e bersaglio occlusale. Il bite va bene in quanto presidio reversibile. Se inutile o dannoso, può essere eliminato senza problemi. Evitare invece nella maniera più assoluta i ritocchi occlusali anche quando, come avviene quasi sempre, il paziente indichi con estrema  precisione (arriva anche a indicare il versante cuspidale) la sede del contatto disturbante. Essendo una forma allucinatoria, eliminare col molaggio il contatto indicato, equivarrebbe, per uno psichiatra, a zittire le voci che il paziente schizofrenico dice di sentire ( Da notare tuttavia che talvolta all’indicazione del paziente può corrispondere  un piccolo precontatto che passerebbe inavvertito in un paziente normale e inosservato ad un esame routinario. Si verifica cioè un incremento della sensibilità  occlusale donde il nome ipervigilanza occlusale. Questa ipervigilanza sopravanzerà sempre la buona volontà del dentista).

La  gestione del bite può non essere semplice in quanto, anche se efficace, in personalità che hanno sviluppato SOP e che ci vivono attorno, occorre evitare che il bite assurga a simbolo eccessivamente ingombrante, arrivando a costituire, a sua volta, una forma di patologia. Al bite va  pertanto affiancato un supporto psicologico che, limitatamente alle nostre competenze, consiste nel far capire al paziente che siamo a conoscenza del problema, che esso non è fittizio, che ha delle basi neuroanatomiche ben precise e infine, con parole semplici, spiegarle al paziente. La soddisfazione dell’esigenza di causalità propria dell’essere umano, conoscere cioè la causa di un fenomeno, ne diminuisce la carica emozionale e ne elimina l’angoscia. E questo è già  di per sé una buona terapia.

Il senso occlusale positivo – un caso di coscienza (quarta parte): prevenzione

di Giorgio Magnano e Vittorio Magnano

Non è facile definire un protocollo di prevenzione per il SOP, perchè la sua insorgenza non dipende da errori tecnici esecutivi o dalla qualità del manufatto protesico, né dalla sua estensione. Può insorgere per una riabilitazione completa come per la protesizzazione di un solo elemento. E’ chiaro che la corretta occlusione dei denti  e l’assoluta stabilità occlusale va rispettata e perseguita, ma questo vale in assoluto, indipendentemente dall’evento SOP. Senza accampare la pretesa di prevedere o intercettare in anticipo l’eventuale insorgenza di SOP, che è imprevedibile, si possono tuttavia  adottare alcuni accorgimenti sia comunicativi che tecnici per tutelare operatore  e paziente. Già in sede di prime visite, dall’accoglienza, alla compilazione del piano di trattamento  e programmazione dell’intervento, è indispensabile osservare il paziente  e fare un’accurata anamnesi. Innanzitutto l’anamnesi odontoiatrica. Indagare sulle  pregresse esperienze  e sugli atteggiamenti verso i dentisti che ci hanno preceduti.  Atteggiamenti eccessivamente critici o ostili, per non parlare di procedimenti assicurativi o legali, potranno suggerire cautela. Evitare sempre qualsiasi commento negativo su lavori pregressi. Non risparmiare invece quelli positivi, se meritati.  Si passa poi all’anamnesi personale. Indagare  sulle  abitudini di vita (situazione famigliare, lavorativa ecc.). Chiedere se ha un buon sonno, se soffre di cefalee, se ha una buona digestione, se assume farmaci di qualsiasi tipo, facendo particolare attenzione a ogni psico o neurofarmaco ( ipnoinducenti, ansiolitici, antidepressivi, neurolettici, antiepilettici ecc.). Se il paziente è donna chiedere se le mestruazioni sono o erano dolorose. Se soffre di allergie o disturbi della pelle. Se fuma o ha fumato. Se ha abitudine ad assumere alcolici e in quali modalità. Osservare poi alcuni particolari che possono indiziare una personalità tendenzialmente ansiosa o ossessiva, come, per esempio,  un’eccessiva logorrea o, d’altro canto,  la presenza di onicofagia, e naturalmente chiedere se ha consapevolezza di stringere o digrignare i denti. All’esame della bocca osservarne ovviamente l’igiene e l’usura delle superfici occlusali e notare se è presente splinting ( ossia la tendenza a chiudere lentamente e inconsapevolmente la bocca, segno di uno stato di disagio del sistema muscolare). Gli operatori più tecnici  potranno  avvalesi dell’ausilio di uno dei vari test psicodinamici a disposizione in letteratura, ausilio utile, ma non  necessario.

Già dalla presenza di alcune di queste caratteristiche si potrà trarre un quadro indiziario, ma significativo del possibile stato psicofisico del paziente, la qual cosa molto raramente  escluderà di procedere alle terapie, ma potrà suggerire più attenzione su  alcune cautele  tecniche e procedurali elencate di seguito.

In linea di principio la strategia di base per minimizzare i rischi, qualsiasi rischio, consiste nell’ apportare le minori variazioni possibili rispetto alle condizioni di partenza. Quindi, innanzitutto fare il meno possibile, ossia protesizzare soltanto gli elementi che sono strettamente indispensabili. Mantenere, se possibile, la stessa dimensione verticale di partenza, tenendo tuttavia presente che eventuali alterazioni della DV, se necessari, sono meno rischiosi sulla via dell’incremento che della diminuzione, anche perchè, nel tempo e attraverso successivi interventi odontoiatrici, è molto più frequente una perdita di DV che un  incremento). Per lo stesso motivo mantenere la relazione centrica, o meglio l’occlusione abituale pre-cura, qualora questa risulti ben tollerata. Qualora si renda necessario apportare delle modifiche, farle prima sui provvisori e lasciare gli stessi in funzione per una arco di tempo sufficiente alla verifica di eventuali disturbi (anche qualche mese in caso di riabilitazioni complesse). Mantenere il più possibile l’indipendenza dei singoli elementi protesizzati. Eseguire la riabilitazione per settori, poco per volta, dando la precedenza preferibilmente all’arcata inferiore che notoriamente è l’arcata guida. Qualora il provvisorio vada bene e il paziente sia soddisfatto sia nell’estetica, che nella funzione masticatoria e fonetica, che nella cenestesi, riprodurlo il più fedelmente possibile nel definitivo. In caso di elementi molto compromessi, dare la preferenza all’avulsione e alla sostituzione implantare, piuttosto  che avventurarsi in conservative preprotesiche estreme. Cercare, per quanto possibile, di non enfatizzare troppo il ruolo dell’occlusione, del contatto fra i denti, con molaggi  interminabili e richieste di indicazioni di eventuali prevalenze, ovviamente senza sacrificare la stabilità del tutto (che non dipende da ogni singolo contatto tripodale!).

Ma il SOP può comunque insorgere. Vediamo adesso come cercare di curarlo.

Il senso occlusale positivo – un caso di coscienza (terza parte): sintomatologia

Giorgio Magnano e Vittorio Magnano

 In sintesi i principali sintomi riferiti dai pazienti sono:        

 Sensazione duratura di contatti dentali prematuri o mancanti; interferenze dentali durante i movimenti della mandibola; scivolamenti durante la massima intercuspidazione;  chiusura dei denti non idonea; sensazione di migrazione dei denti all’interno della bocca; concomitanti dolori oro-facciali (raro e di modesta entità)

 La funzione dell’apparato stomatognatico è compromessa in modo significativo, ma soltanto per il disagio soggettivo, non per limiti o disarmonie di rilevanza clinica obiettiva. Non si rilevano infatti evidenti problemi occlusali, dentali, parodontali, alle articolazioni temporo-mandibolari e ai muscoli masticatori. Spesso i pazienti riferiscono che i sintomi sono insorti in seguito a trattamenti odontoiatrici: restauri conservativi, corone protesiche fisse, protesi rimovibili parziali o complete, avulsioni dentarie, molaggi selettivi, terapie ortodontiche o utilizzo di bite occlusali. Per quanto riguarda gli aspetti psicologici sono  riferiti eventi di depressione, ansia, disturbi somatoformi e personalità ossessivo-compulsive. Spesso i pazienti con SOP  lamentano  problemi estetici, a volte notando asimmetrie inesistenti o riferibili alla norma (dismorfofobia). I pazienti con SOP, si rivolgono a diversi professionisti per avere ulteriori opinioni e richiedere nuovi interventi odontoiatrici, naturalmente senza successo.  Correttamente Molina & Viscuso osservano: “Quasi sempre iniziano la visita con un racconto prolisso e tedioso, ricco di minuziosi   particolari, della propria storia clinica che molte volte presentano anche in forma scritta. In genere manifestano disappunto verso l’operato dei vari dentisti che li hanno curati precedentemente e non raramente riferiscono di aver intrapreso dei contenziosi di carattere medico legale. Poiché normalmente si “documentano”, sentendo pareri o raccogliendo informazioni su internet, quasi sempre danno suggerimenti al professionista su cosa bisognerebbe fare per ripristinare un’occlusione corretta. Se il dentista, sospettando trattarsi di una disestesia occlusale, rifiuta di effettuare gli interventi, diventano aggressivi. Qualora il dentista, malauguratamente, intraprenda delle cure, con la presunzione che i disturbi siano di natura occlusale e che i professionisti che sono intervenuti precedentemente non siano stati competenti, entra in un circolo vizioso che, come detto, non porta alla risoluzione del problema anzi, quasi sempre, peggiora il quadro clinico.”

Il senso occlusale positivo – Un caso di coscienza: definizione

Di Giorgio Magnano e Vittorio Magnano

La trattazione si compone di cinque parti. Ne proponiamo quindi cinque puntate.

Per Senso Occlusale Positivo S.O.P. o anche P.O.S., acronimo dall’inglese Positive Occlusal Sense , si intende la percezione perenne dei contatti dentali vissuta come  fonte di disagio e sofferenza. La revisione sistematica della letteratura di Hara e coll. – effettuata su PumMed, Cochrane Library e sui dati della IADR (International Association for Dental Research) – ha  preso, come sinonimi, i termini:

occlusal dysesthesia (disestesia occlusale),

phantom bite (morso fantasma), 

unconfortable bite (morso disagevole), 

unconfortable occlusion (occlusione disagevole),

occlusion neurosis (nevrosi occlusale),

positive occlusal awareness (vigilanza occlusale positiva), 

occlusal hyperawareness (ipervigilanza occlusale),

a cui si può aggiungere

consapevolezza o coscienza occlusale, termine non fra i più popolari, ma che, a nostro parere, meglio si adatta ad una interpretazione nosologica più originale e profonda.

In generale si tratta di un disturbo, non frequente, che insorge a seguito di cure odontoiatriche che includono l’occlusione dei  denti  totale o parziale e che spesso è indipendente dalla qualità ed accuratezza degli interventi stessi. Il paziente riferisce varie modalità di disagio occlusale per periodi che trascendono  l’usualità conseguente a modifiche occlusali e che, come tali, regrediscono in pochi giorni. La letteratura definisce in sei mesi il limite fra normale adattamento occlusale e franca patologia, ma sovente la persistenza di disturbi al di la  di qualche settimana deve essere interpretato come un allarme verso la rilevanza patologica del problema, specialmente se esistono segni di disturbi psicologici concomitanti (personalità con tendenze ossessive, stati d’ansia  o depressione in atto o anche rilevati dall’indagine anamnestica, come vedremo)

La disestesia occlusale fu descritta per la prima volta nel 1976 da Marbach come  “la percezione da parte del paziente di un’occlusione dentale irregolare anche quando il dentista non evidenzia alcuna irregolarità…”. Nella già citata revisione sistematica della letteratura  di Hara e coll.  si da la seguente definizione: “Una sensazione, persistente da  almeno 6 mesi, di occlusione dentale non confortevole, la quale non corrisponde ad alterazioni fisiche rilevabili correlate all’occlusione, alla polpa dentale, al parodonto, ai muscoli masticatori o alle articolazioni temporo-mandibolari. Può esservi dolore concomitante, in genere di lieve intensità. I sintomi causano profonda sofferenza e inducono il paziente ad andare alla ricerca di trattamenti odontoiatrici”. Il disturbo può condurre a un insuccesso professionale o, in alcuni casi, a  contenziosi  medico-legali. A questo punto, prima di passare all’analisi dei vari aspetti più squisitamente  clinici, è utile una breve premessa di carattere anatomico, fisiopatologico e psicodinamico. Si tratta di problemi di enorme complessità che spaziano dalla filosofia, all’antropologia, alla psicologia fino alle neuroscienze e che pertanto in questa sede dobbiamo  ridurre a schemi di estrema sintesi. Un’osservazione biologica che si riallaccia all’ipotesi evolutiva è che,  in molti aspetti della conoscenza umana, il fare precede il comprendere. Ma in medicina, al giorno d’oggi e con i mezzi a disposizione, cerchiamo di non agire.