Istituto Di Ricerca e Formazione – Giorgio Magnano MD – Vittorio Magnano DDS, MSc, BSc

Disestesia occlusale. Il tramonto del molaggio selettivo

Giorgio e Vittorio Magnano
 

Thomas Kuhn (1922-1996) fu epistemologo e nel 1962 diede alle stampe quella che sarà l’opera più nota “ La struttura delle rivoluzioni scientifiche” dove sostiene che il progresso scientifico non è un insieme di conoscenze successive teso a scoprire la verità, ma un’alternanza fra un discorrere di scienza normale e l’avvento di “ rivoluzioni scientifiche” che partono da un nuovo insieme di elementi  tendenti ad articolarsi e a specializzarsi, e che egli chiamò “cambiamento di paradigma”.

Ora, pur non avendo la pretesa di assurgere a “scienza” l’odontoiatria che è una branca della medicina e quindi non scienza , ma tecnica, pur basata su concetti scientifici, possiamo applicare il metodo tassonomico di Kuhn ad alcuni dei nostri ambiti.

Nel caso contingente parliamo del molaggio selettivo, pratica che ha goduto di fama quasi mitica dagli anni ’70 agli anni ’90 del secolo scorso, ma che attualmente è stata totalmente storicizzata. E’ cambiato il paradigma o forse, più modestamente, non è più di moda. I motivi sono molteplici. Innanzitutto la progressiva perdita di importanza dell’occlusione, sia come fattore eziologico di svariati disturbi ( dalla patologia dell’ATM, al dolore orofacciale,  all’efficienza del manufatto protesico) , poi la conseguente ingravescente importanza dei fattori neuro psichici sull’efficacia clinica dei restauri . Inoltre il progresso tecnico della componente implanto- protesica e delle procedure chirurgiche, che ha marginalizzato la perfetta stabilità occlusale richiesta prima, sostituendola con la completa osteointegrazione anche con interventi di osteochirurgia rigenerativa con conseguenze, dal punto di vista cenestesico,  di esigere sempre meno una micrometrica ripartizione dei carichi occlusali.

Ma il molaggio selettivo ha  perso terreno anche nella dentatura  naturale in quanto il meccanicismo della visione occluso centrica è stato divelto dall’interpretazione cenestesica soggettiva di ogni paziente. In altre parole, non conta tanto la stabilità e l’equilibrio assoluto dei punti di contatto occlusali, quanto la qualità soggettiva che risulta dalla percezione di detti contatti. Da ciò deriva che quando un paziente è abituato ad una certa occlusione, pur imperfetta, con la quale convive da tempo, una qualsiasi modifica di essa, pur in senso meccanicisticamente migliorativo, può confliggere con lo schema sinaptico cui essa corrisponde ( si dice il suo “valore”) e questo può causare disagi anche tali da compromettere la qualità di vita.

 Ciò è dovuto schematicamente a due fatti:

 1) La struttura del dente

 2) La  configurazione rappresentativa cenestesica dei denti e della bocca a livello della circonvoluzione parietale ascendente.

Sulla struttura del dente bisogna sottolineare che essa è molto simile a quella degli esterocettori (terminazioni libere, corpuscoli di Pacini, Messner, Meckel, Krause ecc.), ossia ha una polpa ricca di terminazioni amieliniche, ricoperta da uno schermo ( nella fattispecie la struttura amelo-dentino-cementizia) che ne “filtra” l’accesso allo stimolo. Il dente è, pertanto, dal punto di vista strutturale e quindi anche funzionale, una sorta di recettore. Inoltre i denti sono  contenuti negli alveoli e connessi ad essi tramite il ligamento parodontale che è ricchissimo di esterocettori di ogni tipo.

D’altronde a livello neocorticale nella circonvoluzione parietale ascendente, distalmente alla scissura di Rolando, dove vengono convogliate per la percezione tutte le vie sensitive afferenti, la rappresentazione dei denti è molto estesa ( come ha brillantemente illustrato Penfield già un secolo fa) e ciò può rendere dominante un richiamo della percezione dentale dal “proto sé” dove normalmente deve essere segregata. In altre parole, se modifichiamo la minuta qualità dei contatti occlusali possiamo mandare una pletora di afferenze sensoriali in una zona corticale estremamente complessa e recettiva, e ciò può scatenare una sensazione cosciente dei contatti anche nella normale quotidianità, innescando un circolo chiuso di natura ossessiva che si chiama “ disestesia occlusale” o “ senso occlusale positivo” o “ consapevolezza occlusale” o “ morso fantasma” o “ phantom bite” o altro, definito come una sensazione persistente di occlusione dentale non confortevole (esclusivamente perché non adeguata a precedenti schemi cenestesici) la quale non corrisponde ad alterazioni fisiche obiettivamente rilevabili correlate all’occlusione, alla polpa dentale, ai muscoli masticatori o alle articolazioni temporo- mandibolari.

Da ciò deriva la linea guida clinica di non ritoccare minutamente la qualità e la forza dei contatti occlusali (in pratica non fare molaggi selettivi o peggio riabilitazioni occlusali) al di là di situazioni di chiaro e marcato danno fisico clinicamente evidente (pulpiti da trauma, mobilità dentale, macroscopiche alterazioni della continuità occlusale) e di non ostinarsi a vedere nelle alterazioni occlusali le uniche responsabili di dolori oro facciali o addirittura di altre disfunzioni (posturali, visive, acustiche, digestive o altro) che non trarrebbero beneficio da un siffatto invasivo approccio, ma che potrebbero incrementarne il disagio con ulteriori complicazioni.


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